Nel cuore dell’agrigentino, tra le alture battute dal sole e le curve pazienti delle colline coltivate, Campobello di Licata custodisce una delle manifestazioni più autentiche della devozione popolare siciliana. È una voce antica che si rinnova ogni anno, tra maggio e giugno, con la Rietina, una festa che non è solo rito religioso, ma gesto collettivo, narrazione incarnata, radicamento nella terra e nel tempo.
Qui il paesaggio non è sfondo ma complice. La sua geometria lenta, fatta di vigneti e campi di grano, di polveri e silenzi, prepara il cuore alla ricezione di un linguaggio che non parla con le parole, ma con il passo, la fatica, la marcia, il suono metallico dei ferri e il passo cadenzato degli animali. La Rietina, nel profondo, è un atto teatrale sacro, un pellegrinaggio simbolico dentro l’identità del paese.
Il nome “Rietina” deriva probabilmente dal verbo “riétere”, cioè ritornare. E questa etimologia, apparentemente semplice, contiene l’intero senso della festa: il ritorno del popolo verso le proprie radici, verso la Madonna dell’Aiuto, verso quella parte più profonda e silenziosa dell’anima collettiva che il mondo moderno ha tentato, invano, di seppellire.
Durante la Rietina, i carretti siciliani — veri protagonisti della festa — marciano decorati con fiori, bandiere e icone, trainati da cavalli parati a festa. Ma non si tratta di folclore decorativo: ogni carretto è una reliquia laica, un concentrato di arte popolare, di storia orale, di devozione familiare. Ogni chiodo, ogni intaglio racconta un dolore, un’esultanza, un voto fatto e mantenuto.
Il carretto come codice: narrazione visiva della Sicilia contadina
Nel contesto della Rietina di Campobello di Licata, il carretto siciliano non è una semplice apparizione festiva. È una forma di linguaggio araldico, un testo da leggere e decifrare. I pannelli dipinti, con scene sacre e cavalleresche, non sono semplici ornamenti, ma strumenti di racconto e trasmissione culturale. Sono il cinema della tradizione, il libro illustrato di chi non ha mai avuto accesso ai libri.
I cavalli, imponenti e bardati, non sfilano per spettacolo. Portano con sé il peso del tempo, la dignità del lavoro, la forza del sacrificio. Ogni partecipante alla Rietina non è figurante, ma attore consapevole di un rito antico che parla al cuore prima che alla mente.
Al centro di tutto, la Madonna dell’Aiuto: immagine sacra che attraversa le generazioni come un’eco costante. Il culto mariano, in questa parte della Sicilia, non è devozione ornamentale, ma matrice identitaria. La Vergine dell’Aiuto è percepita non solo come figura teologica, ma come madre concreta, custode del raccolto, delle case, dei figli emigrati, delle promesse fatte in ginocchio durante i giorni difficili.
Il pellegrinaggio che i carretti compiono verso il santuario è quindi un atto di restituzione: la comunità offre la propria forza, la propria arte, la propria presenza, in cambio di protezione e speranza. Ed è in questo equilibrio sottile tra sacro e laico, tra gesto spirituale e manifestazione terrena, che la Rietina trova la sua verità più profonda.
Il momento culminante: la “Bannera” e la dimensione del dono
Al culmine della festa, ha luogo l’offerta della “Bannera” — lo stendardo della Madonna — attraverso una “corsa simbolica” tra i devoti. Non si tratta solo di competizione o prestigio, ma di un atto rituale di affidamento: chi ottiene la bandiera per un anno, la custodisce come si custodisce un’eredità sacra, come un prolungamento della grazia ricevuta.
L’asta che accompagna questo momento non è mercificazione, ma gesto di generosità, che riporta la religiosità alla sua dimensione concreta: fare, donare, sostenere, secondo una logica comunitaria che resiste ai tempi della frammentazione.
In un’epoca in cui molte tradizioni vengono consumate in forma di spettacolo o ridotte a oggetto folklorico, la Rietina di Campobello di Licata mantiene una dignità integra. Merito della comunità, che ha saputo trasmettere il senso profondo del gesto. Merito anche dei giovani, che non hanno disertato la tradizione, ma vi si sono immersi con rispetto e consapevolezza.
Oggi la Rietina è anche un motore di rinascita culturale e identitaria. Le scuole la raccontano, le famiglie la vivono, i visitatori la cercano con discrezione, attratti da una Sicilia che non ha bisogno di mostrarsi esotica per essere affascinante. Una Sicilia che cammina, fiera, dietro i suoi cavalli, tra la polvere e i fiori, nel passo antico della devozione vera.
Partecipare alla Rietina di Campobello di Licata non è un’esperienza da archiviare in una fotografia. È un incontro con il ritmo profondo di una cultura millenaria, che ha saputo esprimersi nel legno intagliato, nel rumore degli zoccoli, nell’abbraccio fra uomini e animali, fra cielo e terra.
Qui, in questo paese che ha fatto della devozione una forma d’arte e di civiltà, ogni carretto che avanza porta con sé un frammento d’anima. E ogni anno, quando la marcia riprende, la memoria siciliana si rimette in cammino, tra la polvere delle strade e la luce delle promesse mantenute.