Ci sono estati che non finiscono col tramonto. Restano inchiodate alla pelle anche dopo il buio, come una febbre che non scende. Notti lunghe, immobili, dove l’aria si fa pesante e il sonno non arriva.
Non è solo una questione di caldo. È una questione di sfinimento collettivo, di organismi costretti a funzionare senza tregua, di corpi che non riescono più a spegnersi.
Ad Agrigento, quando la temperatura resta sopra i trenta gradi anche dopo mezzanotte, dormire diventa un privilegio. I ventilatori girano senza sosta, ma muovono solo afa. I condizionatori ronzano, ma non tutti possono permetterseli. E anche chi li ha, spesso li spegne a metà notte, tra bollette da incubo e timori da sinusite.
Il risultato è una popolazione che si sveglia già stanca, con gli occhi rossi, la testa pesante, il nervosismo a fior di pelle.
Il sonno non è un lusso. È una condizione minima di equilibrio mentale, emotivo, fisiologico. Senza sonno non si lavora, non si ragiona, non si guida con lucidità.
Eppure, il sonno è il grande assente del discorso pubblico sull’estate. Si parla di idratazione, di vestiti leggeri, di creme solari. Ma si tace sul fatto che senza riposo, ogni gesto del giorno si deforma.
Allora bisogna tornare a prendersi cura del proprio dormire. Non con la chimica, non con l’abbandono, ma con una forma antica di intelligenza.
Rispettare il buio. Spegnere gli schermi almeno un’ora prima. Abbassare le luci, anche nei corridoi. Aprire le finestre quando l’aria gira, richiuderle prima che il calore torni.
Prepararsi al sonno come si prepara una stanza per un ospite: silenziosa, in ordine, predisposta all’ascolto.
E poi, rallentare. Non cenare tardi, non ingolfarsi di zuccheri o alcol, non trascinare nella notte l’ansia del giorno. Il corpo deve poter scivolare nel riposo, non caderci come in una trappola.
Un libro leggero, un infuso tiepido, una doccia appena tiepida prima di sdraiarsi: non sono rimedi da rivista, ma riti di sopravvivenza.
E quando proprio non si riesce, accettare. Smetterla di combattere l’insonnia con rabbia. Alzarsi, camminare un po’, leggere qualche pagina, guardare il soffitto in silenzio. Non c’è nulla di male nel non dormire per un’ora. Il male arriva quando il corpo, frustrato, smarrisce il ritmo e confonde il giorno con la notte.
Nessuna amministrazione locale risolve questo problema. Nessuna ordinanza abbassa la temperatura. Ma una città che tace sulla qualità del sonno dei suoi abitanti è una città che rinuncia a capire il proprio malessere.
Il sonno non è solo un fatto privato. È un indicatore sociale.
Dormire — o non riuscirci — dice molto di chi siamo, di quanto siamo fragili, di quanto abbiamo bisogno che anche la notte, a suo modo, ci protegga.


