La cucina della provincia di Agrigento è un racconto affascinante, un intreccio di sapori che parlano del mare pescoso del Canale di Sicilia e della terra generosa dell’entroterra, arricchito da secoli di influenze culturali – greche, arabe, normanne, spagnole. È una gastronomia sincera, basata su ingredienti freschissimi e stagionali, capace di regalare piatti potenti e al tempo stesso eleganti nella loro semplicità.
Un emblema della costa è senza dubbio il Couscous di pesce, specialmente quello celebrato a Porto Empedocle. Questo piatto, chiara eredità della dominazione araba, qui assume una connotazione marinara unica. La semola di grano duro, incocciata a mano con pazienza artigianale, viene cotta a vapore e poi condita con una zuppa di pesce ricchissima, preparata con diverse varietà di pescato locale (scorfani, gallinelle, cernie, gamberi, cozze) e insaporita da un soffritto aromatico e un tocco di concentrato di pomodoro.
Un dettaglio che fa la differenza è la consistenza della semola, che deve rimanere sgranata ma capace di assorbire il sapore intenso del brodo. Si racconta che ogni famiglia di pescatori abbia la sua ricetta segreta, tramandata di generazione in generazione, con piccole variazioni negli aromi o nella scelta del pesce, rendendo ogni couscous un’esperienza leggermente diversa. Gustarlo in una trattoria sul porto, con il profumo del mare che si mescola a quello del piatto, è un’esperienza multisensoriale indimenticabile.
Spostandosi verso l’interno, i sapori cambiano, diventando più robusti e legati ai cicli agricoli. Il Macco di fave è un piatto povero ma nutriente e saporitissimo, una crema densa ottenuta dalla cottura prolungata di fave secche (a volte con l’aggiunta di bietole selvatiche o finocchietto), tradizionalmente servita con pasta corta spezzata o semplicemente con un filo d’olio extravergine d’oliva locale e crostini di pane.
È un piatto che sa di casa, di saggezza contadina, capace di trasformare un legume umile in una prelibatezza. Un aneddoto legato al Macco è la sua preparazione “rituale” in occasione di San Giuseppe, quando in molti paesi si preparano grandi quantità di questa zuppa da offrire ai poveri e ai devoti, rinnovando un’antica usanza di condivisione.
L’eccellenza dei sapori agrigentini
L’entroterra agrigentino è anche terra di eccellenze riconosciute. Il Pistacchio di Raffadali, varietà autoctona apprezzata per il suo colore verde intenso e il sapore aromatico, è protagonista non solo in pasticceria (gelati, creme, torte), ma anche in sorprendenti preparazioni salate, come pesti per condire la pasta o panature per carni e pesce. La raccolta del pistacchio, che avviene a fine estate, è ancora oggi un momento di lavoro intenso ma anche di festa per la comunità locale.
Un dettaglio curioso è che la pianta del pistacchio ha un ciclo biennale: produce frutti abbondanti un anno e quasi nulla l’anno successivo, un ritmo naturale che insegna la pazienza.
E come non menzionare l’Arancia di Ribera DOP, la “Washington Navel” bionda, senza semi, dalla polpa croccante e dal sapore dolcissimo ed equilibrato. Coltivata nella fertile valle del fiume Verdura, questa arancia è un vero tesoro agricolo, apprezzata sui mercati di tutto il mondo.
Consumata fresca, in spremute rigeneranti o utilizzata in insalate (magari in abbinamento con finocchi e aringhe, un classico siciliano) o in dolci, l’arancia di Ribera è un simbolo della generosità di questa terra. Si narra che i primi innesti di questa varietà siano arrivati dall’America, ma che abbiano trovato a Ribera il microclima ideale per sviluppare le loro caratteristiche uniche.
Questa è solo una piccola incursione in un patrimonio gastronomico vastissimo, che include formaggi pecorini, olio d’oliva sopraffino, mandorle, vini generosi e una pasticceria ricca di influenze arabe e monastiche. Assaporare la cucina agrigentina significa fare un viaggio nella storia, nella cultura e nell’anima di un territorio che sa offrire al palato emozioni autentiche e indimenticabili.