Racalmuto, metà degli anni Cinquanta. Il paese dell’entroterra agrigentino, che Leonardo Sciascia avrebbe poi trasfigurato nella Regalpetra letteraria, viveva secondo i ritmi lenti e le dinamiche sociali immutabili della Sicilia profonda. In questo microcosmo fatto di silenzi carichi, sguardi eloquenti e una complessa rete di relazioni familiari e clientelari, un giovane maestro elementare, poco più che trentenne, osservava con acume crescente la realtà che lo circondava.
Quel maestro era Leonardo Sciascia, già autore di poesie e delle Favole della dittatura, ma ancora lontano dalla fama nazionale. Stava accumulando esperienze, letture e riflessioni che sarebbero confluite di lì a poco nelle Parrocchie di Regalpetra, il libro che avrebbe segnato il suo vero esordio come narratore e saggista della condizione siciliana. È in questo contesto, in un’atmosfera carica di non detti e potenziali tensioni, che si colloca un episodio emblematico, quasi un prologo non scritto a uno dei suoi romanzi più celebri: la ricezione di una lettera anonima.
Sciascia stesso ha raccontato, in diverse occasioni e con lievi varianti che ne accentuano il valore quasi paradigmatico, questo evento che lo toccò personalmente mentre svolgeva il suo lavoro di insegnante nel suo paese natale. Un giorno, recapitata con la consueta, sinistra discrezione che accompagna simili missive, ricevette una lettera senza firma. Il contenuto era velenoso: accuse infamanti, insinuazioni sulla sua condotta morale e professionale, minacce più o meno velate.
Non si trattava di un attacco politico diretto, né di una questione legata a interessi economici evidenti. Era piuttosto un esempio perfetto di quella pratica diffusa e corrosiva, endemica in certe realtà comunitarie chiuse, che è la denigrazione anonima, strumento di vendetta personale, di controllo sociale, di sfogo di invidie e frustrazioni, spesso utilizzata per colpire chi, in qualche modo, si distingueva o appariva “diverso”.
L’impatto su Sciascia fu profondo, ma non nel senso di una paura paralizzante o di una reazione scomposta. Fu piuttosto uno shock intellettuale, la conferma tangibile di meccanismi sociali che andava osservando e analizzando. La lettera anonima non era un fulmine a ciel sereno, ma la manifestazione concreta di un modus operandi che permeava la vita del paese (e, per estensione, della Sicilia).
Era l’arma dei vili, il sintomo di una società dove la verità non poteva essere detta apertamente, dove il confronto diretto era evitato e sostituito dalla calunnia sussurrata o, appunto, scritta senza nome. Era l’incarnazione dell’omertà al contrario: non il silenzio che protegge il crimine, ma la parola nascosta che cerca di distruggere la reputazione.
La Reazione di Sciascia
Ciò che rende l’episodio particolarmente significativo è la reazione di Sciascia, che prefigura l’atteggiamento che caratterizzerà tutta la sua opera di scrittore e intellettuale impegnato. Invece di cedere all’angoscia o di lasciar correre, Sciascia decise di affrontare la situazione con gli strumenti che gli erano propri: la ragione, l’analisi, la parola pubblica. Ne parlò apertamente, non nascose l’accaduto. Cercò di capire chi potesse essere l’autore, non tanto per vendetta, quanto per comprendere le motivazioni, per svelare il meccanismo perverso che si celava dietro quelle righe.
Si confrontò con le autorità locali, con i colleghi, forse persino in classe, trasformando un attacco personale in un caso di studio sulla mentalità del luogo. Un dettaglio, forse romanzato ma verosimile nel contesto della sua personalità, lo vuole impegnato in una sorta di indagine privata, analizzando la calligrafia, il tipo di carta, lo stile linguistico della lettera, quasi come un detective dilettante, anticipando le figure dei suoi futuri investigatori letterari.
Questa esperienza personale, vissuta sulla propria pelle, divenne materia incandescente per la sua riflessione e, successivamente, per la sua scrittura.
L’episodio della lettera anonima si sedimentò nella sua coscienza, mescolandosi ad altre osservazioni sulla realtà mafiosa, sulla giustizia negata, sull’intreccio tra potere politico ed economico, e contribuì in modo determinante a creare l’humus da cui sarebbe nato, pochi anni dopo, Il giorno della civetta (1961). Non è un caso che il capitano Bellodi, il protagonista del romanzo, si trovi a combattere non solo contro la mafia visibile degli omicidi e delle intimidazioni, ma anche contro un muro invisibile ma potentissimo fatto di silenzi, di mezze verità, di testimonianze ritrattate e, appunto, di lettere anonime che cercano di depistare le indagini o di infangare chi cerca la verità.
La lettera anonima ricevuta dal maestro Sciascia a Racalmuto diventa, nel romanzo, uno degli strumenti attraverso cui la società collusa cerca di fermare l’azione del rappresentante dello Stato venuto dal Nord. Bellodi riceve lettere anonime che lo accusano, che cercano di minare la sua credibilità, che gli suggeriscono piste false. È la stessa tecnica, lo stesso veleno, trasposto dalla piccola realtà paesana alla dimensione più ampia della lotta tra Stato e anti-Stato. Sciascia, attingendo alla sua esperienza diretta, seppe rappresentare con straordinaria efficacia la forza destabilizzante di queste pratiche, il modo in cui esse contribuiscono a creare un clima di sospetto e di paura, rendendo ardua ogni ricerca della verità.
L’aneddoto della lettera anonima è quindi molto più di una semplice curiosità biografica. È una chiave di lettura per comprendere la genesi dell’impegno civile di Sciascia e la natura della sua scrittura. Rivela come la sua opera non nascesse da astratte riflessioni intellettuali, ma affondasse le radici in un’osservazione partecipata e sofferta della realtà siciliana.
Quella lettera fu, per il giovane maestro, una sorta di battesimo del fuoco, un’iniziazione alla comprensione dei meccanismi più oscuri del potere e della società in cui viveva. Gli insegnò che la parola scritta poteva essere un’arma terribile se usata nell’ombra, ma anche uno strumento potente di verità e di denuncia se usata con coraggio alla luce del sole.
La lucidità con cui Sciascia seppe analizzare e poi trasfigurare letterariamente questo episodio personale dimostra la sua statura di intellettuale capace di trasformare il vissuto in paradigma universale.
La vicenda della lettera anonima di Racalmuto rimane così impressa non solo come un evento della sua biografia, ma come un frammento emblematico di quella “Sicilia come metafora” che egli seppe raccontare al mondo intero, costringendoci a riflettere sulle zone d’ombra non solo di un’isola, ma della condizione umana stessa, ovunque essa sia minacciata dalla viltà, dall’omertà e dalla menzogna organizzata. Quel foglio anonimo, giunto nelle mani di un maestro di scuola elementare, contribuì a forgiare la voce di uno dei più grandi scrittori civili del Novecento italiano.