Boss, fiancheggiatori di capimafia, affiliati e familiari di condannati per associazione mafiosa o reati connessi col reddito di cittadinanza: la procura di Agrigento conclude le indagini e chiede altri 8 rinvii a giudizio nell’ambito di un segmento dell’inchiesta sui tanti presunti abusi legati alla concessione del sussidio previsto dallo Stato per le fasce di reddito più povere. Il pubblico ministero di Agrigento, Elenia Manno, ha proposto il processo per 8 persone accusate di avere nascosto di rientrare in una delle condizioni che escludono la concessione del reddito di cittadinanza ovvero la precedente condanna per reati in materia di mafia o l’essere inserito nello stato di famiglia con un condannato per gli stessi reati.
Si tratta del presunto capomafia di Licata, Angelo Occhipinti, 68 anni, di Licata; di Francesco Gucciardo, 47 anni, di Siculiana; Pasquale Alaimo, 53 anni, di Favara; Enzo Quaranta, 51 anni, di Favara; Vincenza Genco, 60 anni, di Cammarata; Giuseppina Parisi, 64 anni, di Licata; Angelo Pirrera, 42 anni, di Favara e Gesua Presti, 46 anni, di Favara. La procura contesta i reati di truffa e violazione della legge speciale in materia di reddito di cittadinanza. Alcuni imputati sono comuni con un altro procedimento, a carico di 19 persone, già in fase di udienza preliminare.
Gucciardo avrebbe omesso di indicare, nella dichiarazione indirizzata all’Inps con cui aveva chiesto il reddito di cittadinanza, di avere riportato una condanna definitiva per associazione mafiosa nell’ambito della maxi inchiesta “Marna” che strinse il cerchio sulla rete di fiancheggiatori dell’allora latitante Gerlandino Messina. Alaimo ha scontato 13 anni di carcere in seguito all’arresto nell’operazione “Camaleonte” in cui è stato svelato il suo ruolo di braccio destro del capomafia di Agrigento, Maurizio Di Gati, fra i boss più sanguinari degli anni Novanta. Anche Quaranta e Occhipinti avrebbero “nascosto” una condanna per reati di mafia per non vedersi tagliati fuori dalla concessione del reddito di cittadinanza. Occhipinti, peraltro, nell’estate del 2019 è stato nuovamente arrestato e in seguito condannato con l’accusa di essere il capomafia di Licata.
Gli altri imputati sono familiari di affiliati e condannati per reati di mafia che, sostiene l’accusa, avrebbero omesso di dichiarare la convivenza con un condannato per reati di mafia che li avrebbe esclusi dalla concessione del beneficio. I fatti contestati, accertati in seguito all’incrocio delle banche dati eseguito dalla guardia di finanza nel corso delle indagini, si riferiscono agli anni 2019 e 2020. L’udienza preliminare, davanti al giudice Francesco Provenzano, e’ stata fissata per il 5 maggio. I difensori (gli avvocati Giuseppe Barba, Maria Alba Nicotra e Roberto Majorini) avranno la possibilità di chiedere un rito alternativo.
Redazione – Agrigento Post